Quantcast
Channel: 3d – La macchina a vapore
Viewing all articles
Browse latest Browse all 2

La lenta (ma non troppo) marcia della stampa 3D

$
0
0

Questo blog si occupa spesso di tecnologie ormai scomparse, o di altre che stanno arrivando alla fine della loro corsa. Per una volta, si avventura invece nel pericoloso esercizio di guardare al futuro, e di puntare qualche fiche su una tecnologia che, un passo dopo l'altro, si avvia a diventare una rivoluzione dalle conseguenze ancora imprevedibili.

Parliamo della stampa 3D, che in questi giorni ha fatto un altro passo verso una diffusione di massa quando la Nokia, uno dei maggiori produttori di telefoni cellulari sul mercato, ha annunciato che renderà a breve disponibili sul proprio sito web, gratuitamente ma solo per gli utenti registrati, i file necessari a stamparsi in casa le custodie “ufficiali” per alcuni modelli di telefonini. In pratica, chi dispone di uno dei diversi modelli di stampante 3D ormai da tempo sul mercato potrà scaricare i file e usarli per farsi in casa le stesse custodie che troverebbe nei negozi. Nokia ha spiegato che usa già correntemente la stampa 3D per creare prototipi dei prodotti da avviare poi alla produzione in serie, ma che ha voluto con questa iniziativa sostenere la diffusione di una tecnologia che «si merita tutto il clamore che la stampa le sta dando», e che «renderà i telefonini (così come molti altri prodotti) molto più modulari e personalizzabili» (parole di John Kneeland, responsabile dei servizi online di Nokia).

Un esempio di stampante 3D (Immagine: Wikipedia)

Per chi ancora non lo sapesse, che cos'è questa tecnologia che genera tante attese (e a cui, tanto per dire, il settimanale The Economist dedica da anni speciali e copertine che parlano di “una nuova rivoluzione industriale)? Dal punto di vista dell'utente, il processo non è molto diverso da una qualunque stampa. Si prepara un disegno al computer, si preme “stampa”, e dalla stampante (un po' più ingombrante di una normale) esce un pezzo di una lampada, di un tavolo, di una canoa…la stampante aggiunge sottilissimi strati successivi di materiale seguendo il disegno, fino a fare emergere l'oggetto completo. Per questo si parla anche di manifattura “additiva”, mentre quella industriale tradizionale è “sottrattiva” (si parte da un blocco di materiale, metallico o plastico che sia, e si tagliano via le parti che non servono fino a ottenere la forma voluta). Le tecniche per stendere i diversi strati di plastica possono essere diverse.

Alcune macchine usano un sistema simile al getto di inchiostro delle stampanti 2D per spruzzare plastica liquida su un supporto mobile. La plastica viene asciugata usando raggi UV, dopodiché il supporto si sposta leggermente per passare allo strato successivo. Un'altra tecnica prevede invece di sciogliere la plastica per mezzo di una testina mobile che crea un sottile filamento, e in questo modo va a creare gli strati successivi. Oppure si possono usare polveri depositate su un vassoio mobile, solidificate con una spruzzata di colla per assumere la forma voluta e poi muovere il vassoio per fare un altro strato. Le stampanti più sofisticate possono usare contemporaneamente materiali diversi, per creare oggetti rigidi in alcuni punti e soffici in altre.

La stampa 3D nasce nella grande azienda come una soluzione per creare prototipi realistici di prodotti in materiale plastico, da mettere a punto e testare prima di passare alla tradizionale produzione in catena di montaggio. Da qualche tempo però viene usata anche per produrre pezzi finiti da mettere sul mercato in piccole quantità, con in più la possibilità di personalizzarli uno per uno. E qui sta il suo grande potenziale: cambiare le economie di scala su cui si basa la produzione manifatturiera. Le macchine usate per la produzione industriale, infatti, sono efficienti e convenienti quando devono produrre migliaia di pezzi uguali, ma programmarle per creare un solo pezzo è difficile e, in proporzione, enormemente costoso. Nessun produttore di posate di plastica farebbe mai dieci forchette di un certo modello: ne farà decine di migliaia, altrimenti non vale nemmeno la pena di accendere la macchina.
 
La stampa 3D offre una soluzione per creare pochi pezzi, di qualità paragonabile se non superiore a quella della catena di montaggio, risparmiando materiale (proprio perché la tecnica è additiva e non sottrattiva) e portando a grandi risparmi nella logistica. Già da qualche anno, per esempio. le grandi aziende del settore aeronautico preferiscono “stampare” le parti di ricambio degli aerei su richiesta, anziché tenerne pronte grandi quantità fatte in catena di montaggio, con grandi risparmi sui costi di magazzino. La stessa cosa, gradualmente, avverrà in molti altri settori.
 
I modelli base di stampanti 3D, poi, sono ormai alla portata di tutti. I più diffusi costano sui 2000 dollari, e qualcuno va anche sotto quei prezzi, come la stampante italiana Sharebot, in in vendita a 900 euro, la prima ad abbattere la soglia psicologica dei 1000 euro. Oggi la stampa 3D è, secondo alcuni osservatori, nella fase in cui si trovava l'informatica all'epoca dei PDP (Programmed Data Processor): una “fase evolutiva” dei computer (tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio dei Settanta) intermedia tra i colossali mainframe e i personal computer, in cui la computazione arrivava alla portata di piccoli gruppi di lavoro, e in cui fu sviluppato il sistema operativo Unix che è tuttora alla base di molta dell'informatica che ci circonda. La fase, insomma che preparò il terreno all'esplosione di massa.
 
 

Un altro modello di stampante 3D (Immagine: Aalto University)

Quando passerà alla “fase PC”, trasformerà i modelli di business della produzione industriale, per lo meno quella in materiale plastico. Consentirà anche ad aziende piccole e piccolissime di produrre articoli che oggi sono appannaggio di grandi stabilimenti; renderà economicamente sostenibile la produzione di basse “tirature” di oggetti di largo consumo, aprendo la strada a possibilità di personalizzazione dei prodotti che potranno rilanciare mercati oggi in stallo. Per tutta una categoria di oggetti altamente standardizzati e di basso valore, poi, renderà obsoleta la stessa produzione e distribuzione di massa: tanto per dire, qualche famosa catena scandinava di arredamento a basso costo smetterà di vendere presso i suoi negozi lampade, tavoli e vassoi: al massimo venderà attraverso il sito il file per stamparseli a casa, risparmiandoci il viaggio in macchina e la coda alle casse in una affollata domenica allietata solo dal miraggio delle polpette svedesi al ristorante.

Aggiungiamo poi che la stampa 3D si sposa naturalmente con piattaforme informatiche open source per rendere gli oggetti “intelligenti” (basta pensare ad Arduino, il sistema hardware/software creata dall'italiano Massimo Banzi che consente di creare rapidamente e a basso costo dispositivi intelligenti, da sensori per l'ambiente a unità di controllo per macchine a processori per ogni esigenza) e capiamo che il potenziale della “personal fabrication” va ben oltre la stampa di custodie per cellulari: può arrivare alla creazione “in casa” di piccoli robot, o di piccoli elettrodomestici ritagliati sulle proprie esigenze. Certo, serviranno ancora molti anni per rendere davvero la stampa 3D così economica e “friendly”. La fine della produzione manifatturiera di massa non è dietro l'angolo, ma molti segnali fanno pensare che prima o poi ci si arriverà. 


Viewing all articles
Browse latest Browse all 2

Latest Images

Trending Articles