Questo blog si occupa spesso di tecnologie ormai scomparse, o di altre che stanno arrivando alla fine della loro corsa. Per una volta, si avventura invece nel pericoloso esercizio di guardare al futuro, e di puntare qualche fiche su una tecnologia che, un passo dopo l'altro, si avvia a diventare una rivoluzione dalle conseguenze ancora imprevedibili.
Parliamo della stampa 3D, che in questi giorni ha fatto un altro passo verso una diffusione di massa quando la Nokia, uno dei maggiori produttori di telefoni cellulari sul mercato, ha annunciato che renderà a breve disponibili sul proprio sito web, gratuitamente ma solo per gli utenti registrati, i file necessari a stamparsi in casa le custodie “ufficiali” per alcuni modelli di telefonini. In pratica, chi dispone di uno dei diversi modelli di stampante 3D ormai da tempo sul mercato potrà scaricare i file e usarli per farsi in casa le stesse custodie che troverebbe nei negozi. Nokia ha spiegato che usa già correntemente la stampa 3D per creare prototipi dei prodotti da avviare poi alla produzione in serie, ma che ha voluto con questa iniziativa sostenere la diffusione di una tecnologia che «si merita tutto il clamore che la stampa le sta dando», e che «renderà i telefonini (così come molti altri prodotti) molto più modulari e personalizzabili» (parole di John Kneeland, responsabile dei servizi online di Nokia).
Per chi ancora non lo sapesse, che cos'è questa tecnologia che genera tante attese (e a cui, tanto per dire, il settimanale The Economist dedica da anni speciali e copertine che parlano di “una nuova rivoluzione industriale)? Dal punto di vista dell'utente, il processo non è molto diverso da una qualunque stampa. Si prepara un disegno al computer, si preme “stampa”, e dalla stampante (un po' più ingombrante di una normale) esce un pezzo di una lampada, di un tavolo, di una canoa…la stampante aggiunge sottilissimi strati successivi di materiale seguendo il disegno, fino a fare emergere l'oggetto completo. Per questo si parla anche di manifattura “additiva”, mentre quella industriale tradizionale è “sottrattiva” (si parte da un blocco di materiale, metallico o plastico che sia, e si tagliano via le parti che non servono fino a ottenere la forma voluta). Le tecniche per stendere i diversi strati di plastica possono essere diverse.
Alcune macchine usano un sistema simile al getto di inchiostro delle stampanti 2D per spruzzare plastica liquida su un supporto mobile. La plastica viene asciugata usando raggi UV, dopodiché il supporto si sposta leggermente per passare allo strato successivo. Un'altra tecnica prevede invece di sciogliere la plastica per mezzo di una testina mobile che crea un sottile filamento, e in questo modo va a creare gli strati successivi. Oppure si possono usare polveri depositate su un vassoio mobile, solidificate con una spruzzata di colla per assumere la forma voluta e poi muovere il vassoio per fare un altro strato. Le stampanti più sofisticate possono usare contemporaneamente materiali diversi, per creare oggetti rigidi in alcuni punti e soffici in altre.
Aggiungiamo poi che la stampa 3D si sposa naturalmente con piattaforme informatiche open source per rendere gli oggetti “intelligenti” (basta pensare ad Arduino, il sistema hardware/software creata dall'italiano Massimo Banzi che consente di creare rapidamente e a basso costo dispositivi intelligenti, da sensori per l'ambiente a unità di controllo per macchine a processori per ogni esigenza) e capiamo che il potenziale della “personal fabrication” va ben oltre la stampa di custodie per cellulari: può arrivare alla creazione “in casa” di piccoli robot, o di piccoli elettrodomestici ritagliati sulle proprie esigenze. Certo, serviranno ancora molti anni per rendere davvero la stampa 3D così economica e “friendly”. La fine della produzione manifatturiera di massa non è dietro l'angolo, ma molti segnali fanno pensare che prima o poi ci si arriverà.